Prima novità dell'anno nuovo: il mio primo romanzo su una mia scoperta che rivoluzionerà il modo di leggere la Divina Commedia.
Sotto, tutte le notizie e anticipazioni. Anche sul programma, ovviamente!
Buona lettura a tutti!

La scala di conoscenza perduta della Divina Commedia. - Il lato oscuro della Storia - Parte 2

Ed è così che vanno le cose, verrebbe da dire.
Sì, perché per quanto assurdo possa sembrare, questo è il pensiero che mi scavò nella mente al momento delle prime scoperte che compiei sulla Divina Commedia. Si studia tanto (soprattutto al liceo) una grande opera letteraria - forse, ma anche senza forse, la più grande - avvicinandosi tanto allo stupore e al godimento di un poema letterario così sublime divagando su concetti che vengono espressi fin dalla morte di Dante (1321, ndr), e già approfonditi pochi anni dopo quel nefasto evento dall'eterno Giovanni Boccaccio (forse il primo "dantista" della storia; professore di Divina Commedia all'Università di via dello Studio, a Firenze, e colui che le assegnò l'epiteto 'divina') che non si può credere che la verità, quella celata, sia ben altro. O che esista "altro".
Ma tant'è. E credo sia bene mettere in chiaro le cose per tutti, prima di inoltrarmi nell'arduo lavoro di spiegazione e approfondimento di una scoperta per la quale ho lottato e continuo a lottare con ogni singola cellula del mio corpo. Complessa sì, ma anche semplice. Basta seguire un filo logico. Non serve molto.
L'antipasto che vi ho offerto col passato articolo, tuttavia, può essere servito a stuzzicare il vostro interesse ma certo non esaurisce il vostro appetito che, anzi, se avete apprezzato i flash sulla mia scoperta riguardo le opere botticelliane sarà credo accresciuto, piuttosto che affievolito. (E, con l'occasione, vi ricordo il romanzo che contiene il mio studio: "L'oro di Dante". Acquistabile sia in formato cartaceo, a 24 euro, e ebook a 3,99 euro. Qui il link per Amazon: )
Per tutti coloro che non lo sapessero (o non lo ricordassero) parlando per sommi capi la Divina Commedia, poema del priore fiorentino e medico speziale Dante Alighieri, scritto negli anni del suo esilio dalla città (1304-1321), è un'opera divisa in tre parti dette "cantiche". Queste, intitolate "Inferno", "Purgatorio" e "Paradiso" dal nome dei tre regni divini che il Poeta nella finzione letteraria è chiamato a visitare per volere divino chiamato da santa Lucia, la quale incaricò Beatrice Portinari di mandare il poeta Virgilio (sito nel limbo) a prendere Dante, sono divise in 33 canti l'una scritti in versi endecasillabi alternati e concatenati.
La sola cantica che fa eccezione rispetto alle altre è l'Inferno, che conta un canto in aggiunta, il primo, da considerarsi vera e propria eccezione. Si tratta infatti di un'introduzione all'intero poema. Riga più riga meno.

Riassumendo:

Inferno       34 canti (33+1)
Purgatorio 33 canti
Paradiso    33 canti

Ma come sempre aleggiano molti misteri intorno alla Divina Commedia, nonostante questo sia l'insegnamento che viene propugnato a tutti, indistintamente, ormai da quasi sette secoli. Perché in fondo basta e avanza, visto e considerata la mole di lavoro utile a comprenderlo in ogni sua parte. Dante affermava che le sue opere dovevano essere lette su tre livelli distinti: letterale, morale e allegorico.
Vale a dire: sul piano puramente narrativo, poi morale (indagando alla ricerca del senso retorico) e quindi allegorico (cercando il significato delle immagini che Dante mostra per favorire la narrazione).
Questo è il lavoro da svolgere. Ma non basta. Basando i suoi studi di matrice anche domenicana, Dante si è molto ispirato all'Arbor Vitae Iesu Crucifixae di Ubertino da Casale, eternato in epoca moderna, tra l'altro, da Umberto Eco nel suo capolavoro Il nome della rosa (Premio Strega 1981), e le sue numerose citazioni filosofiche e teologiche non fanno altro che impregnare e impreziosire, ma anche inerpicare, il duro cammino di conoscenza del lettore che è chiamato, come capirete, ad approfondire a sua volta, o a documentarsi, su Aristotele prima di tutto (Dante era un aristotelico e credeva nella struttura dei pianeti concentrica) e poi sul resto della filosofia, della teologia, antica e moderna (per la sua epoca), e delle Sacre Scritture... Scusate se è poco!
Un lavoro che in buona sostanza ha portato e che porta, ad oggi, ad approfondire conoscenze di levatura appartenente non certamente al Volgo, ma ai ricchi, ai mecenati e ai monaci, in una maniera prima d'ora ben poche volte favorita. Attraverso la piacevolezza - ma anche il terrore (ricordiamoci che all'epoca si aveva molto timore che ciò che si leggeva fosse vero e si credeva che Dante fosse realmente andato in Inferno, Purgatorio e Paradiso) - della lettura di un poema che preso per quello che è avrebbe arrecato ricchezza d'animo a tutti.
Sandro Botticelli. Orazione nell'orto
La Divina Commedia è infatti il primo poema di questa complessità in lingua volgare.
Si tratta per cui di una faretra che ha fratturato il mondo letterario e conoscitivo noto fino a quel momento. Fino ad allora, di fatti, tutte le opere(letterali, storiche, filosofiche, teologiche ecc) erano in Latino o Greco antico. Due lingue non conosciute al popolo, eccezion fatta per i nobili istruiti, i monaci (che le scrivevano, studiavano e tramandavano), gli ecclesiastici in genere e pochi altri privilegiati.
Come Dante.
Un uomo che nella Firenze di fine '200 ha avuto il privilegio di ricevere un'istruzione domenicana presso la scuola di Santa Maria Novella potendosi così avvicinare ai trattati di Platone, Pitagora, Archimede, Aristotele, Catilina e molti altri, imparando il Greco, il Latino, un po' d'Ebraico, la Retorica, la Filosofia ecc. Fino ai contemporanei come il succitato e suo contemporaneo frate e teologo Ubertino da Casale.
Tuttavia, la sua scelta rivoluzionaria di scrivere un poema di tanta complessità in Volgare (la lingua parlata dal popolo), dopo aver scritto molte altre opere in Latino e inserendo anche personaggi contemporanei o di recente deceduti, l'ha esaltato agli onori della cronaca non solo per la bellezza, ma anche per l'aver prodotto qualcosa che chiunque sapesse leggere poteva comprendere (almeno dal punto di vista letterale) o potesse quantomeno udire e goderne la piacevolezza del suono in piazza alle letture pubbliche che Boccaccio organizzava in piazza Santa Croce.
Perorare il messaggio e il proprio intento fino alla fine. All'estremo.
Ecco il perché del Volgare. Estendere il messaggio a tutti e non confinarlo, nonostante le critiche dei letterati che volevano che lo scrivesse in Latino, tra ristrette cerchia che avrebbero potuto apprezzarlo.
E' stato grazie a questo suo ardore, in fondo, se è nato l'Italiano oltretutto. La nostra lingua.
Per cui, sulla base di questi presupposti non vi intimorite troppo se una mente del calibro di Dante Alighieri potrebbe aver inserito nella sua opera un segreto. Ci troviamo giustappunto in un'epoca in cui la storia dei cavalieri templari sta per esaurirsi col rogo sulla Senna a Parigi del 23° ed ultimo Gran Maestro templare Jaques de Molay (13 ottobre 1314), e l'instabilità in Europa, non solo nella Penisola, regna più che sovrana anche per l'interminabile e logorroica Guerra dei Cent'anni.
La Germania elegge due nuovi imperatori in contemporanea, appartenenti a due casate differenti, la Francia è traghettata verso il baratro da Filippo IV (detto "Il bello") e il Papato, sotto Clemente V ed i suoi successori, viene spostato con la forza ad Avignone, in Francia, senza ormai avere potere... Pochi, chiari esempi di un'instabilità che vede così il fiorire di numerose opere e gruppi e cerchie di letterati che perorano le loro cause e che hanno, tra i loro aderenti, anche personaggi forti e "politicizzati" quali lo stesso Dante. Cacciato dai Guelfi Neri saliti al potere su Firenze dopo la discesa in terra italica di Carlo di Valois sotto l'inganno di papa Bonifacio VIII(che chiamò il priore dei guelfi bianchi Dante Alighieri a Roma per un'ambasceria, che in realtà era una trappola per farlo allontanare dal centro di potere) ed esiliato per non aver fatto pubblica ammenda. Rifiutandolo, e più volte. Condannato quindi all'esilio. E al rogo, se mai fosse tornato.
Nascono così i poeti del Dolce Stil Novo e, segretamente, un gruppo del tutto simile: i Fedeli d'Amore.
Quest'ultimo tenetelo a mente.
Entrambi i gruppi basavano la loro essenza sull'amore verso la donna e in generale verso il femmineo, vera chiave di elevazione spirituale verso Dio. Si trattava di un'ispirazione che non necessariamente doveva derivare da donne in carne ed ossa, sia chiaro, ma pur sempre donne: scienza, sapienza, filosofia ecc. Così che l'uomo deve innamorarsi, poi allontanarsi dalla amata e trattenere la tensione erotica per sfogarla nella poesia e nella scrittura giungendo quindi a scoprire i misteri del mondo e di Dio.
Ma cosa distingueva i Rosacroce dai Fedeli d'Amore? Non certo la filosofia lavorativa e letteraria, ma un'appartenenza occulta, quella sì...
I Rosacroce, infatti, sarebbero i veri eredi della tradizione templare, oltre che dei loro misteri.
Non mi dilungherò troppo sull'approfondimento del tema suddetto in questa stessa sede, ma ciò basti per intendere l'ampiezza della circostanza in cui ci troviamo affogati e in cui era asperso lo stesso Dante.
Ed eccoci al punto di svolta, l'inizio della mia scoperta e il principio della valanga di verità sopite che ho risvegliato.
Un simbolo sulle facciate di numerose e importanti chiese templari di tutta l'Europa. Alcuni esempi? Be', la cattedrale Chartres, la Cappella di Rosslynn, vari castelli e, addirittura, la chiesa di Rennes le Chateau.
Curiosi? Volete sapere di cosa si tratta? Se è così, dovete sapere che ne parla per primo un certo Franjo Terhart che, per i profani o non conoscitori di questo particolare, è il ricercatore che ha scoperto i messaggi nascosti ne L'ultima cena di Leonardo da Vinci e che poi ha sfruttato Dan Brown nel suo bestseller Il codice da Vinci. Il disegno per la verità non ha alcun fascino particolare né recondito ad un primo sguardo. Si tratta semplicemente di una sorta di ovale che al suo interno racchiude una serie di linee tracciate senza cognizione di causa e in più vi sono riportati tre numeri: 7, 6 e 5 (immagine).




Vi starete chiedendo molte cose adesso, tra cui dove si trovi il mio filo logico, con una più che buona probabilità(non vi nascondo che in certi momenti me lo chieda io stesso). Perché il mio ragionamento appare complesso, irto e, a suo modo, disordinato. Ma non potrebbe essere altrimenti, mi duole dirvelo, perché se una chiara spiegazione a seguito della scoperta mi avrebbe acconsentito di scendere profondamente in merito ai temi di cui sento il dovere di parlarvi e che sono confluiti nel mio romanzo ("L'oro di Dante"), d'altra parte non potrei essere più chiaro se non, in queste battute iniziali, facendovi seguire quello che fu il mio percorso di conoscenza. Perché comprenderete molto più e molto meglio di chiunque altro prima di voi.
Ed è così che mentre ero intento ad approfondire i temi di cui vi parlai nel precedente articolo riguardo la possibile ambientazione della Divina Commedia in Islanda e il suo rapporto alla Primavera di Botticelli secondo Giancarlo Gianazza, tutto per scrivere un mio romanzo su quest'idea che volevo approfondire, dall'altro canto mi trovai ad analizzare il libro di Terhart e quel simbolo strano.
Non ci volle molto -avevo già scritto molto del romanzo - a scegliere di cancellare centinaia e centinaia di pagine.
Fu una sera d'estate e io di fronte al libro di Terhart I templari. Custodi del Santo Graal scorsi il simbolo ed i suoi tre numeri. Proprio in quel momento, come un lampo, fui folgorato da un'intuizione che mi avrebbe poi cambiato la vita...
E se -pensai- quei tre numeri rappresentassero le cantiche scritte da Dante? E se quindi i canti totali fossero...
Adesso però mi sono dilungato troppo e non vorrei tediarvi, ma semplicemente invitarvi al ragionamento e ad interrogarvi. Niente stimola il ragionamento come il dover rimettere tutto in discussione e la fame di conoscenza. Quella che mi attanagliava e che mi spinse a cercare il cibo che avrebbe placato quel morso.
Perché, per quanto possa apparire confuso e anche infelice, quell'idea tanto semplice e folle da sembrare una farneticazione, fu la vera svolta di un mondo che non mi sarei mai sognato di scoprire.

State connessi. Nel prossimo articolo, entrerò nel vero merito della scoperta...






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Dante Alighieri e Sandro Botticelli - Il lato oscuro della storia. Parte 1



Sandro Botticelli, Primavera. Galleria degli Uffizi, Firenze. 
Comparare una scoperta ad un'altra, o un argomento letterario ad  uno artistico che risultano distanti oltre 150 anni, è un tema che farebbe desistere chiunque, o buona parte, se non altro, anche solo azzardasse un processo di studio e/o ricerca procedente in quel senso. Parimenti, se non più, anche occulto.
Specie se l'idea, all'apparenza folle ma anche affascinante, fosse già stata sfruttata e azzardata da uno studioso che ti ha anticipato nelle mosse, o solo nel tempo.
Già, perché potrebbe succedere qualcosa di non dissimile. Qualcosa che travalichi i meri confini della materialità e metta in contatto persone separate dallo spazio in un solo tempo. Impossibile da immaginare, ma concreto se si azzarda una plausibilità di idee e concetti vissuti e sentiti come pura energia in viaggio da secoli, in cerca della sua concretizzazione.
Ecco quindi che al principio del mio studio sulla Divina Commedia di Dante Alighieri, uno dei capolavori assoluti della letteratura mondiale - poema diviso in tre cantiche a loro volta composte da 33 canti l'una con la sola eccezione dell'Inferno, che ne conta uno in più - quando mi cascò l'occhio, in un pomeriggio di domenica, durante una visita alla Galleria degli Uffizi di Firenze (la mia città) sulla Primavera di Sandro Botticelli, fu proprio allora che notai alcuni particolari che sembravano ricondurre alcuni vaghi tratti di quel sublime dipinto rinascimentale alla mia idea sul massimo lavoro del Vate della lingua italiana. Ma tornare a casa e ricordarsi che sì, esiste un possibile legame tra la Primavera e la Divina Commedia perché un ricercatore ha rimesso tutto in gioco anni prima, è quanto di più sfiancante si possa augurare a chiunque. Mentalmente, nella mia mente intendo, forse i due studi si erano fusi l'uno nell'altro. Avevo insomma composto un unicum da due ricerche allo stesso modo distanti e vicine.
Di cosa parli il mio lavoro di ricerca che trascritto nel mio primo romanzo ("L'oro di Dante", thriller edito da Youcanprint e disponibile in formato cartaceo a 24 euro e ebook a soli 3,99 euro. Qui lo short link di Amazon per l'acquisto: ) sarà un tema di cui tratterò poco alla volta, poiché prima occorre fare un salto indietro e tornare alle radici di quel problema posteriore sì alle mie prime scoperte sulla Divina Commedia, ma fondamentale per la soluzione che mi avrebbe poi illuminato.
Ed ecco perché principio da qui. Ma andiamo con ordine...
Dicevamo di Botticelli, del possibile legame delle sue opere, e quindi suo, alla Divina Commedia. Perché Sandro Mariani di Vanni Filipepi, al secolo proprio Botticelli, tra le altre frequentò assieme a un giovane e spavaldo Leonardo da Vinci, con cui strinse una più che solidala bottega di Andrea del Verrocchio nella vecchia e fiorente Firenze di metà '400,  amicizia. Una sorta di cenacolo di idee, insomma. E ricordando dei misteri aleggianti attorno alla figura potente e magnifica di Leonardo, allora non si può non ammettere che i dubbi sorgano più che spontanei. Botticelli, per di più, aveva avuto l'ardore di rappresentare l'inferno dantesco e tutti i canti della Divina Commedia in carta pecora.
La connessione era quindi più che automatica, ma non sufficiente ad acquietare le fantasie mie, altrui, e gli ardori che mi spinsero a cercare cosa vi fosse dietro quelle immagini. In fondo, Botticelli poteva solo essere finito nel ribollente calderone del vociferare inusitato e insensato che può aspergere una mente sublime quale quella leonardesca, e i suoi seguaci di conseguenza. Mistero, a volte, è semplicemente qualcosa che non si comprende o che non si conosce.
Ma io avevo visto qualcosa nelle sue opere che sembrava avvicinarsi al mio lavoro. Ne ero convinto. E scelsi allora di gettarmi in quel calderone ribollente io stesso.
Poi, dopo alcune brevi analisi e contorti ragionamenti, allora ricordai.
Nella Primavera si trovavano alcuni elementi dettagliati da un ricercatore. Si trattava di alcune coordinate geografiche e della possibile data dell'equinozio di aprile del 1319, forse riportato dal medesimo Dante Alighieri nei primi versi della cantica del Paradiso(la terza, dopo Inferno e Purgatorio). Una scoperta realizzata però... da Giancarlo Gianazza. Ad onor della cronaca e di un grande lavoro(nonostante il mio forte turbamento e senso di sconfitta che mi permeava all'epoca, cioè due anni fa), va riconosciuto che Gianazza, più di tutti prima di tutti, forse, è stato il vero apripista (escludendo René Guenon, s'intende) verso il mondo esoterico del divin poeta e altrettanto capofila a tentate di fornire una risposta alla sfida lanciata da Dante nel IX canto dell'Inferno: "o voi ch'avete li 'ntelletti sani/ mirate la dottrina che s'asconde/ sotto 'l velame de li versi strani".
Un invito più che chiaro a considerare la Divina Commedia sotto una luce del tutto differente dai gradi di lettura a cui invita nel Convivio: letterale, morale e allegorico.
Un metodo, per cui... arcano?
Non lo sapevo e il fatto che qualcuno si fosse mosso con dieci anni di anticipo rispetto a me certo non faceva ben sperare. Anche perché, in base ai suoi studi, Giancarlo Gianazza era giunto a scoprire che Dante poteva essersi ispirato all'Islanda per ambientare la Divina Commedia e, se fosse stato comprovato il suo legame ai cavalieri templari, vi avrebbe potuto nascondere un tesoro con loro o avrebbe potuto sapere della sua esistenza. La scoperta di un ansa naturale scavata da un fiume e legata da Gianazza alla candida rosa dei santi del paradiso, oltre che alle coordinate geografiche nella Primavera e nei versi danteschi (Tu-le; ve ne parlerò) è certamente l'apice del suo studio.
Mi lasciò fin da subito col fiato sospeso e il cuore affranto... ma mi chiesi se fosse davvero quello il vero senso occulto della Divina Commedia e delle opere di Botticelli. Se, insomma, il segreto fosse realmente stato celato in Islanda.
Poteva essere realmente così, in fondo. Dato che persino l'America sarebbe stata scoperta dai templari dopo i Vichinghi ma sempre prima di Colombo (le caravelle, per la cronaca, recavano bandiera templare e Colombo si sposò con una componente della famiglia Sainclair; la più importante tra le famiglie templari). Cento anni prima, per la precisione. Anno più anno meno.
Primavera, Sandro Botticelli. Lo studio di Giancarlo Gianazza
Ciononostante approfondii il mio lavoro con la voglia di sapere. Perché, forse, avrei potuto confermare ancor di più la scoperta di Gianazza, e questo mi avrebbe reso colmo di gioia, consapevole di quale metodo avesse approfondito il grande studioso fin qui citato, che sarebbe certamente stato differente dal mio.
Ma, guarda caso, furono proprio le opere di Sandro Botticelli a dettarmi la via... E non una,  ma trenta!
Non poteva trattarsi di un caso se, seguendo un metodo di scomposizione da me supposto e sviluppato le opere si scomponevano esattamente allo stesso modo e con la medesima curata e fine cadenza. Tutte. Dalla prima all'ultima. Con un occhio particolare alle tre della Cappella Sistina, da sempre criticate per il disordine compositivo.
Disordine, contrario a quello che invece sono. Ordine celato. Nascosto da un segreto che si riconnette esattamente alle mie ipotesi sulla Divina Commedia. Ai miei studi.
In ogni opera di Botticelli ho individuato un pentalfa(o pentagramma, dipende dai gusti), il riferimento al numero 13, la figura di Dante Alighieri e la scritta "DILM"(in molte, non in tutte).
Perché? Cosa significano? In che modo ho potuto trovarli? Qual è il metodo compositivo e scompositivo?
Beh, mi duole dirvelo ma questo sarà il tema dei prossimi articoli. Il mio studio è fin troppo lungo e articolato per concentrarsi in un solo post, per quanto prolisso e approfondito. Posso solo accennarvi che la stella a cinque punte rappresenta Dio, e per questo il Paradiso (cantica e anche regno divino) di cui si dice che gli ultimi tredici canti non furono ritrovati quando Dante morì...
Casualità? Concomitanze? Convergenze storiche o persino simbolico-grafiche?
E' presto per dirlo. Anzi, per dirvelo.
Dovete aver pazienza e predisporvi a cambiare prospettiva.
Su tutto. Divina Commedia e Sandro Botticelli. Templari e simboli ormai noti.
Perché quello che credevate comprovato e saldo, potrebbe rivelarsi errato e arcano.
E la soluzione, potrebbe essere la più semplice che avreste mai creduto.
Perché anch'io analizzando da solo la Primavera ho scoperto che forse la soluzione è molto più semplice di quanto chiunque prima di me non credesse...


Il mio studio su Primavera di Sandro Botticelli.
All rights reserved. Diritti riservati a Filippo Martelli sulla scomposizione qui presente.
© Filippo Martelli 2013.

Questo articolo fa parte della serie dedicata alle scoperte di Filippo Martelli sulla Divina Commedia. A breve i seguiti e gli approfondimenti.

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