Prima novità dell'anno nuovo: il mio primo romanzo su una mia scoperta che rivoluzionerà il modo di leggere la Divina Commedia.
Sotto, tutte le notizie e anticipazioni. Anche sul programma, ovviamente!
Buona lettura a tutti!

UOMINI SELVAGGI. LO YETI, MITO O REALTÀ?

Il periodo che intercorre tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento ha visto esploratori avventurarsi, in lungo e in largo, in luoghi inaccessibili, nel folto delle foreste e sulle cime dei monti più irti. Qui, a contatto con le popolazioni del luogo, molti di loro hanno avuto modo di conoscere sia racconti sia storie antiche, le quali parlano di esseri noti agli abitanti del luogo e di cui loro stessi narrano con molto timore. In questi racconti si parla spesso di esseri alti, pelosi e simili all’uomo che vivrebbero in zone estreme da tempo immemore. Questi cripti, di tipo antropomorfico, noti generalmente come Uomini selvaggi, sono distribuiti in varie parti di tutto il mondo, ma dalle descrizioni che ci sono giunte si nota che sussisterebbe una certa somiglianza tra loro, per cui si potrebbe ipotizzare che, probabilmente, siano in qualche modo imparentati tra loro. Dunque, vediamo chi sono e perché potrebbe essere così.


YETI

Il moderno mito dell’ Abominevole Uomo delle nevi si deve al tenente colonnello C. K. Howard Bury che dette al mondo Occidentale la notizia secondo la quale, mentre nel 22 settembre del 1921 stava tentando di completare la sua scalata dell’ Everest, percorrendo il sentiero che da Kharta porta a Lhapka-La, vide col binocolo su un piano innevato sovrastante alcune figure scure dalle sembianze vagamente umane, che si spostavano rapidamente sulla neve. Giunto sul posto per verificare a cosa corrispondessero e di che genere di creature si trattasse, salendo fino a 7.000 metri di quota, notò nella neve tracce di passi e impronte di piedi nudi dalla forma umana sì, ma ben più grandi delle normali.
Il termine “Abominevole Uomo delle nevi” deriva dalla traduzione errata della lingua nepalese MetohKangmi che significa “ Uomo-orso delle nevi” . Yeti, invece, deriva da Yeh-teh, che significa “ quella cosa là”, espressione usata dagli stessi Sherpa. Altro temine utilizzato per definirlo è rakshasa, parola che in sanscrito significa "demoni”, a testimonianza di quanto poco si sappia su questo essere e quale sia la sua fama.
In Occidente, gli Yeti, o abominevoli uomini delle nevi, dovevano essere conosciuti, dato che il grande naturalista Carlo Linneo, ideatore della classificazione binomiale (il sistema che serve a dare un nome agli esseri viventi), lo identifica come “ Homo ferus” e lo descrive come un quadrumane (non bipede) muto e peloso.
Le descrizioni generiche ci fanno quindi pensare a una scimmia ricoperta di pelo rossiccio o marrone su tutto il corpo, ad esclusione di faccia, dorso, piedi e delle mani; lo Yeti avrebbe una lunga capigliatura, presenterebbe un torace possente, con lunghe braccia pendule che arriverebbero oltre le ginocchia, e una testa incassata nelle spalle larghe. Gli Yeti sarebbero onnivori, mangerebbero muschio salato e licheni e la loro dentatura non sarebbe dissimile da quella umana. Inoltre, camminerebbero in posizione eretta con andatura bipede, anche se goffa, e non avrebbero la coda.

LE TIPOLOGIE

Secondo i nepalesi esisterebbero ben tre tipi di Yeti:

1) Teh-lma
Un essere alto solo un metro, con una pelliccia fulva che ne ricoprirebbe il corpo e i piedi piccoli di tipo umanoide con esattamente cinque dita; vivrebbe nelle valli più calde dell’Himalaya nepalese e tibetano e sembrerebbe possedere una forma primigenia di tipo pigmeo.

2) Meh-teh
Questo sarebbe il vero e proprio Yeti, quello che noi conosciamo e su cui si baserebbero la maggioranza delle testimonianze in cui siamo incorsi finora; avrebbe la statura di un uomo alto, la testa allungata (vagamente conica), il colore della pelliccia tra il marrone e il rossiccio (anche se, per altri testimoni, sarebbe bianca o perfino argentea) e se ne starebbe per lo più confinato nelle foreste che si trovano sui monti. Sarebbe proprio lui a lasciare le famose impronte dell’uomo delle nevi, caratterizzate da un secondo dito del piede particolarmente sviluppato.

3) Dzu-teh
Dzu-teh significa “ Cosa grossa”. È l’ultimo tipo ed è noto anche come “Rimi”.
Il Rimi sarebbe alto fino a tre metri, coperto da una lunga pelliccia scura, con piedi grandi, simili a quelli umani e non vivrebbe sull’ Himalaya, ma nelle zone più impervie e accidentate del Tibet orientale, specie Bangladesh, Myanmar, Manciuria e Vietnam del Nord.

TEORIE

Le teorie riguardo gli Yeti sono molteplici, tanto più che per molti questi esseri non esisterebbero, se non nella fantasia popolare come pura leggenda, o in quanto demoni addirittura, come abbiamo visto.
Secondo una teoria gli Yeti potrebbero essere gli ultimi discendenti del “Gigantopithecus”; una specie di scimmia di grandi dimensioni, alta dai tre ai quattro metri vissuta nel Pleistocene (tra 2,58 milioni e 11,700 anni fa), e i cui resti vennero trovati dal paleontologo olandese Ralph von Koenigwald nel 1934; mentre era ad Hong Kong, Von Koenigwald avrebbe visto in una farmacia cinese da cui passò alcuni molari, simili a quelli umani, ma ben sei volte più grandi dei nostri, e che erano chiamati “denti di drago” e vennero ritrovati dai contadini nei loro campi, per poi essere usati nella medicina tradizionale cinese. Questi denti, nonché altre parti dello scheletro di creature simil-scimmiesche, furono trovati in una vasta area asiatica che si estende dal Vietnam del Sud alla Cina settentrionale fino al Tibet. Si suppone che l'intera regione fosse abitata da un gigantesco primate antropomorfo il quale, intorno a 500.000 anni fa, si sarebbe ritirato sull'Himalaya a causa dei cambiamenti climatici che avrebbero colpito il suo habitat naturale. Non ci sono prove che questa “migrazione” sia avvenuta realmente, anche perché il Gigantopithecus preferiva abitare foreste rigogliose e non habitat glaciali. Tuttavia, ne annoveriamo l’eventualità.
Un’ altra teoria, stavolta proposta dal sovietico Porsnev, avanza l’ ipotesi che si tratti di Uomini di Neanderthal” sopravvissuti fino ai giorni nostri.

Lo stesso alpinista Messner sostiene la tesi che lo Yeti non sarebbe altro che una varietà d’orso (Ursus arctos pruinosus, o “Orso azzurro tibetano”, per la precisione) che possiede l’abitudine di camminare in posizione eretta e che, da lontano, può apparire con sembianze umane. In un manoscritto di 300 anni fa, infatti, Messner ha rinvenuto il disegno di un Chemo, che sarebbe il nome che venne dato dai tibetani allo Yeti, con la didascalia “Varietà di orso che vive nelle aree montuose inospitali”.
A tutt’oggi , ciononostante, non è stata ancora ritrovato un osso o resto  attribuibile con certezza scientifica allo Yeti; è falso il copricapo trovato nel 1954 da Edmund Hyllary nel monastero buddista di Khumjung e che, una volta analizzato dallo zoologo Bernand Heuvenalis, si dimostrò essere un oggetto modellato a vapore, che derivava da peli e pelle di un raro animale tibetano noto come “Serrow del Sud” (Capricornus sumatrensis thar), cioè una capretta. Nel Novembre del 1953, Russi Ghandi riuscì a farsi mostrare uno scalpo custodito nel monastero di Panghochi che si dicesse appartenere allo Yeti. Lo zoologo Charles Stonov riuscì a noleggiare la reliquia a caro prezzo, la analizzò e verificò che era stata fabbricata utilizzando semplicemente la spalla di un montone.
L’unica cosa ancora non spiegabile scientificamente, in pratica, è la presenza di impronte di tipo umanoide che nessun orso può lasciare.
Il ritrovamento delle prime impronte di cui si abbia certezza risale al 1899, quando il maggiore L. A. Waddel, avvisato dai suoi Sherpa, osservò enormi impronte impresse nella neve, a oltre 5000 metri di quota nel Sikkim, e che furono fotografate per la prima volta l’8 novembre del  1951 dagli scalatori inglesi Eric Shipton e Michel Ward, che a 6000 metri di quota le notarono a sud-ovest del passo di Melung-tse. Le impronte presentavano cinque dita lunghe più di 30 cm ed erano larghe 20; quando scattarono le fotografie posero una piccozza accanto a loro per mostrare la dimensione ed evidenziare l’assoluta eccezionalità delle stesse. Shipton affermò che le impronte erano troppo grandi per poter appartenere a un orso ed erano altresì troppo recenti per essere state aumentate dal disgelo. Se ne ha testimonianza, insomma, ma anche stavolta questi dati non portano a nulla di effettivo.
Nel corso del tempo sono state trovate altre impronte di Yeti che si sono sommate ai numerosi avvistamenti susseguitisi nei secoli e che sono stati realizzati sia dalla popolazione locale che dai turisti delle zone montuose o boschive. Purtroppo, al momento non c’è nulla di conclusivo; le spedizioni effettuate fino ad ora devono tener conto delle zone dove si crede che lo Yeti vivrebbe, e che sono decisamente impervie, con condizioni ambientali a dir poco proibitive quali forte vento, neve e gelo, le quali certo non aiutano le ricerche. Gli uomini delle nevi continuano, insomma, ad essere elusivi e ad apparire solo fuggevolmente e per brevi lassi. Per cui, fino a quando non si riuscirà a mettere la parola fine ai nostri interrogativi e a trovare evidenze incontrovertibili, e cioè se esista davvero l’Uomo delle nevi oppure si tratti solo di vacuità senza fondamento, siamo certi che lo Yeti continuerà a solleticare la fantasia nostra e di tutti coloro che si avvicinano al tema con curiosità e spirito di ricerca.

Farinaro Giuliana



FARINARO GIULIANA è nata a Marcianise(CE), il 29/10/1957, è Laureata in Scienze Naturali all' Università "Federico II" di Napoli con tesi sperimentale in Ecologia animale (studiando l'assetto ecologico di un fiume), tesina sperimentale sulla Chimica delle argille, ed è docente a tempo indeterminato su A060 di Scienze Naturali ,Chimica, Geografia e Microbiologia. Specializzata in Giornalismo e comunicazioni di massa, fa parte della Protezione Civile del suo paese ed ha la passione per la fotografia naturalistica. Il suo rapporto col mistero è di vecchia data e, nonostante una solida base scientifica, a priori non rimegetta alcuna ipotesi, cercando con decisione quale sia la verità attorno a quel fenomeno che, spesso, non ha ancora una giustificazione scientifica universalmente accolta. Giuliana Farinaro è testimone di avvistamenti UFO, ha vissuto un "missing-time" nelle piramidi della valle di Giza ed ha spesso fotografato oggetti che non erano presenti al momento dello scatto.
Giuliana Farinaro scrive anche poesie e piccoli racconti, per cui ha avuto vari riconoscimenti a livello nazionale ed internazionale, ed è fondatrice e gestrice del blog www.ilmondovistodayulia.wordpress.it in cui tratta principalmente della propria passione per la fotografia naturalistica, di cui racconta i suoi viaggi nei luoghi e nei colori che più la affascinano del mondo.

Share |

Se ti è piaciuto l'articolo, iscriviti al feed per tenerti sempre aggiornato sui nuovi contenuti del blog! Per maggiori informazioni sui feed, clicca qui!

MISSING TIME NELLA PIRAMIDE DI CHEFREN



Gentili lettori, già in un’altra occasione, anni fa, abbiamo affrontato un tema molto affascinante e altresì controverso: i cosiddetti “missing time” nella piramide di Chefren. 
Nel dettaglio parliamo dell’articolo “Lo Zed, il tempo a Giza si ferma”(link per la lettura QUI) in cui abbiamo riportato sia lo studio di alcuni importanti ricercatori, sia un racconto di un’esperienza simile a quella che troverete qui di seguito, in cui il visitatore, con la sensazione di essere rimasto nella Grande Piramide per poco tempo, una volta fuori si è reso conto di esservi rimasto molto più di quanto non sembrasse. Forse, tutto è riconducibile a forze elettromagnetiche che ancora non conosciamo bene ed è tutto legato alla stessa esistenza dello Zed. Tuttavia, questa non è altro che una delle molte ipotesi, almeno per ora, al vaglio dei ricercatori e nulla più. 
Ma non vogliamo farvi perdere tempo e vi lasciamo alla lettura di questo breve racconto vissuto in prima persona dalla prof.sa Giuliana Farinaro, collaboratrice da poco tempo del blog e grande ricercatrice.
A voi la lettura e le opinioni.



F.M.



 Missing time nella piramide di Chefren


L'imbocco del corridoio.
Ho avuto la fortuna di poter  fare una crociera sul Nilo, pochi anni fa, la cui ultima tappa era stabilita in una visita al Cairo e all’area delle grandi piramidi. Al nostro gruppo era spettata la visita della piramide di Chefren.
Inizialmente, devo essere sincera, non ero intenzionata ad entrarvi, in quanto l’apertura esterna, che conduceva al corridoio interno, era alta circa 50 cm e di poco più larga, cosa da far venire la claustrofobia anche a chi non l’aveva mai sofferta.
Stavo bighellonando nei dintorni dell’entrata con mia sorella M., ancora indecisa sul da farsi, quando, ad un certo punto, una signora del gruppo ci avvicinò e disse: “ Perché non ci entriamo? Quando avremo la possibilità di ritornare qui?.
L’idea non era poi così errata e allora, dopo un breve consulto, detto fatto, demmo i soldi alla guida, insieme alla macchina fotografica, in quanto non è possibile, se non con permessi speciali, fare foto all’ interno della Piramide.
Io, A. e G., il marito della signoria che aveva invitato tutti ad entrare, ci incamminammo all’ ingresso. G. fece solo due passi, ma poi tornò prontamente indietro, bloccato dalla claustrofobia, mentre A. ed io penetrammo più nel profondo fino ad imboccare il corridoio. Per agevolare i turisti nel passaggio erano state messe  ai lati del muro dei corrimani mentre per terra alcune asticelle di legno non facevano scivolare nella discesa, lunga 32 metri e molto poco illuminata. A metà strada, una rientranza custodiva dei ventilatori lì posti per refrigerare e far meglio circolare l’aria nell’ambiente, irrespirabile. Nell’avanzare verso l’interno della Piramide, sorse però il problema di incrocio con quei gruppi che, mentre noi stavamo entrando, uscivano attraverso lo stesso stretto passaggio. Bisognava allora appiattirsi al muro per poter passare e cercare di non “sentire” la claustrofobia e la poca aria tutt’attorno.
Al termine della discesa, un corridoio orizzontale terminava nella stanza del sarcofago, molto alta e spaziosa, in cui non faceva caldo e la cui aria era molto più respirabile di quanto non credessimo; sulla parete frontale dell’ambiente, posto all’interno di un rettangolo, c’era scritto “ Scoperto da Giovan Battista Belzoni” e il relativo anno della scoperta (2 marzo 1818); alla destra dell’entrata, sul fondo, si ergeva, imponente, il sarcofago scoperchiato.
A. disse: “ Andiamo a salutare il faraone” (anche se eravamo ben consci che in quell’ambiente non c’era mai stato un faraone). Ci avvicinammo, poggiammo ambedue le mani sul bordo del sarcofago in granito, perfettamente levigato anche all’interno, osservammo alcuni istanti il suo interno, le staccammo e ce ne andammo, riprendendo il tunnel percorso all’andata per dirigerci verso l’uscita.
Una volta fuori, mia sorella e G.,  preoccupatissimi, ci dissero : “ Ma quanto tempo ci avete impiegato?”

L'esterno della Piramide.
Io e A., sbalordite e confuse, rispondemmo: “ Solo 15 minuti, massimo 20”.
Attoniti e perplessi, M. e G. ci risposero: “ Ma se siete state via 1 ora e mezzo!”.



Due sono i casi che terrei a proporre:

1) Per effettuare il percorso ci si impiega veramente più di un’ora, e in questo caso non ci siamo accorte del tempo che scorreva.

2) Serve meno tempo di quanto non appaia per chi lo vive, solo che per noi erano passati 15-20 minuti mentre nella realtà erano trascorsi più di un’ora. In questo, caso, mancano circa un’ora, un’ora e 15 minuti, e non so cosa sia potuto succedere nel frattempo.






FARINARO GIULIANA è nata a Marcianise(CE), il 29/10/1957, è Laureata in Scienze Naturali all' Università "Federico II" di Napoli con tesi sperimentale in Ecologia animale (studiando l'assetto ecologico di un fiume), tesina sperimentale sulla Chimica delle argille, ed è docente a tempo indeterminato su A060 di Scienze Naturali ,Chimica, Geografia e Microbiologia. Specializzata in Giornalismo e comunicazioni di massa, fa parte della Protezione Civile del suo paese ed ha la passione per la fotografia naturalistica. Il suo rapporto col mistero è di vecchia data e, nonostante una solida base scientifica, a priori non rimegetta alcuna ipotesi, cercando con decisione quale sia la verità attorno a quel fenomeno che, spesso, non ha ancora una giustificazione scientifica universalmente accolta. Giuliana Farinaro è testimone di avvistamenti UFO, ha vissuto un "missing-time" nelle piramidi della valle di Giza ed ha spesso fotografato oggetti che non erano presenti al momento dello scatto.
Giuliana Farinaro scrive anche poesie e piccoli racconti, per cui ha avuto vari riconoscimenti a livello nazionale ed internazionale, ed è fondatrice e gestrice del blog www.ilmondovistodayulia.wordpress.it in cui tratta principalmente della propria passione per la fotografia naturalistica, di cui racconta i suoi viaggi nei luoghi e nei colori che più la affascinano del mondo.

Share |

Se ti è piaciuto l'articolo, iscriviti al feed per tenerti sempre aggiornato sui nuovi contenuti del blog! Per maggiori informazioni sui feed, clicca qui!

Le radici della conoscenza occulta della Divina Commedia - Parte 4: le ultime scoperte

Firenze, 13-08-2014


Gentili lettori, volendo ringraziare la vostra fedeltà al blog, oggi vi propongo un’anticipazione del tutto nuova sullo studio che sto approfondendo riguardo alla Divina Commedia e che riprende ciò che già ho scoperto e vi ho proposto (anche se solo in parte; per il resto trovate le spiegazioni nel romanzo "L’oro di Dante”) in tre dei precedenti post e che sarà oggetto di un saggio approfondito di futura uscita.

Nonostante tutto quello che ho scoperto, infatti, la ricerca non poteva esaurirsi a ciò che avevo trovato. Anche se era molto materiale, sapevo di dover andare avanti e sentivo che, soprattutto, una parte della ricerca non era ancora del tutto completa.

In particolare mi riferisco al percorso (o parallelo) tra l’Albero della Vita ebraico e l’intera Divina Commedia.

Così, nel mese di giugno del 2014, appena una quarantina di giorni fa, sono stato in grado di riuscire lì dove mi ero fermato.

Ho ricondotto ogni singola sephirah dell’Albero della Vita ebraico (per ogni approfondimento in merito vi rimando alla lettura degli articoli precedenti) ad un canto specifico. Una per una.

In pratica, ogni stazione dell’Albero Sefirotico è emblema di un canto della Divina Commedia, e dieci canti della Divina Commedia (più uno), specularmente, sono corrispondenti, per simbologia e personaggi, al senso delle stesse sephirot.

Non mi dilungo in questa sede a dirvi nello specifico quale sia il significato di ogni canto in relazione ad ogni sephiroth, ma vi dico che, con questo lavoro, anche i passaggi e i personaggi che continuavano ad apparire oscuri per i dantisti e per i ricercatori di letteratura, hanno assunto un senso ben preciso.

Cito su tutti il demone Gerione del XVII canto dell’Inferno. Canto che, secondo il mio studio, coincide con la sephirah Yesod: cioè il Fondamento, o il Giusto. E Dante definisce Gerione come un demone con “la faccia di un giusto”. Altro esempio è invece quello che riguarda il XXVIII canto del Purgatorio, il quale narra esattamente dell’incontro tra Dante e Matelda e della sua entrata nell’Eden. Ebbene, essendo la sephirah ad esso corrispondente Chesed, cioè l’Amore, e trovandosi Dante nel luogo stesso (simbolicamente parlando) “sede” dell’Amore, ed essendo essa stessa associata al sopraggiungere della Primavera (in quanto la seguente stazione è Binah, cioè proprio la Primavera), ho potuto appurare che il personaggio di Matelda altro non è che il simbolo della Primavera Universale. Ipotesi su cui ho potuto avere una piacevolissima conferma, per di più, trovando in internet, dopo il mio studio (lo sottolineo) un articolo del giornalista e ricercatore Antonio Socci, il quale avanzava questa ipotesi in relazione ad una sua analisi di Primavera di Botticelli; alla donna che vi era raffigurata. Il personaggio in esame, quindi, altri non è che la Primavera dantesca. E cioè Matelda. E il luogo di ambientazione è l’Eden, con Beatrice-Venere sullo sfondo.

Di analogie simili ne esistono a bizzeffe ed ho potuto riscontrare sensi e legami tra i canti e le sephiroth molto più profondi di quelli che adesso, in virtù del tempo e dello spazio a mia disposizione (e di un mio accordo di lavoro su questa ricerca), posso rivelarvi. Ma vi dirò solo come si trovino i canti in esame.

Tutto ruota intorno al numero 72 e ai suoi significati (il nome di Dio è di 72 lettere, la Regola dei Templari è di 72 articoli… eccetera). Così facendo, saltando i primi sette canti dell’opera e poi operando su di essa con “salti” di 9 canti alla volta, si possono individuare esattamente 11 canti, avendone due rimanenti dal conteggio complessivo dei 100 (quindi si escludono i primi 7 e poi gli ultimi 2; inoltre, 7+2=9).

Per cui, così facendo si passa dall’VIII dell’Inferno al XVII, poi al XXVI, poi al I del Purgatorio e così via.

Ma le sephiroth sono 10 e non 11.

Caso vuole (ovviamente non è un “caso”, ma, anzi, una viva conferma della validità della mia teoria) che uno degli undici canti così individuati sia il XIII del Paradiso (quello da me decodificato). Questo coincide con Daath per ragioni molto semplici e insieme complesse. Quindi con la sephirah nascosta. E, allo stesso modo, essendo il gruppo dei primi 7 associabili al sentiero dell’Albero coincidente con la lettera Aleph e con l’Arcano Maggiore del Matto, e gli ultimi 2 associabili all’ultimo dei sentieri sefirotici (lettera Tav, e poi il Mago o Bagatto), allora i restanti 80 canti (100-11-9= 80) sono associabili ai rimanenti 20 sentieri (4 canti andranno ad essere associati ad ogni sentiero).

Come vi ho detto, non starò qui a riportare ognuno dei sensi che legano i canti alle sephiroth o i gruppi interi di canti ai sentieri che connettono le stazioni dell’Albero, ma volevo solo offrirvi questa primizia in quanto ogni cosa torna e, come affermavo io, l’intera Divina Commedia è un gigantesco sunto dell’Albero della Vita ebraico!

Le mie ultime scoperte non si esauriscono qui, però. Come ho potuto verificare nell’ultimo mese, alcuni dei termini che non sapevo bene come tradurre del messaggio arcano di Dante che ho scovato nel XIII canto del Paradiso (attraverso una rielaborazione del codice scoperto da Francesco Fioretti) appartengono alla lingua ebraica (“Ever”, “Olam”, “Elun” ecc.). La mia ultima analisi, quindi, sta cercando di comprendere come si sviluppi il testo in alcuni passaggi più ostici (fermo restando che, ad esempio, i termini “Nemi” e “Lis Icon”, “Icona di Lisa”, perfettamente riconducibile quindi alla leggenda del Graal, sono segni che il testo è stato tradotto correttamente, almeno in parte).

Ma non vado oltre.

Vi lascio qui e spero che apprezziate il mio lavoro, anche se ve l’ho solo parzialmente raccontato per i motivi che sapete, confidando che ciascuna delle mie scoperte possa consentire di comprendere (finalmente) a pieno il senso recondito e più vero della Divina Commedia.

Filippo Martelli (Fiesole (FI), 20/04/1988)

Copyright ©Filippo Martelli 2014

Materiale non riproducibile

Nota a margine: Per il presente articolo, un sentito ringraziamento va alla mia fidanzata, Loredana.

FILIPPO MARTELLI è nato a Fiesole (FI), il 20/4/1988. Fondatore e gestore del blog The Voyager, ha collaborato alla stesura dei testi del documentario "Il divin segreto. Enigmi e verità su Dante Alighieri", 2009, di Michele Rossi, collaboratore del programma di Rai2 Voygaer e, da allora, ha approfondito i propri studi sulla Divina Commedia. Studi che sono confluiti nel suo primo romanzo, dal titolo "L'oro di Dante" (2013). Con la sua ricerca sulla Divina Commedia e sulle opere di Sandro Botticelli, Filippo Martelli si è classificato secondo all'edizione 2013 del Premio Nazionale Ricerca nel Mistero ed ha pubblicato un articolo dal titolo "Il Paradiso ritrovato di Dante" in merito al proprio studio sul numero 68 (giugno 2014) della rivista Fenix di Adriano Forgione, ex collaboratore dei programmi Voyager e Mistero e direttore editoriale della casa editrice Xpublishing.

Share |

Se ti è piaciuto l'articolo, iscriviti al feed per tenerti sempre aggiornato sui nuovi contenuti del blog! Per maggiori informazioni sui feed, clicca qui!

UN MEMORANDUM FBI RIVELA L'ESISTENZA DI FORME DI VITA ULTRADIMENSIONALI

 Spesso abbiamo affrontato il tema della vita su altri pianeti, non ultimo quello che abbiamo pubblicato non meno di due settimane fa sulle onde radio captate dal telescopio Arecibo. Abbiamo anche dato notizia, però, circa 2 anni fa, dell'apertura e digitalizzazione degli archivi segreti dell'FBI (Federal Beurau of Investigation) circa i documenti che riguardano faccende "spinose" tra cui, come ovvio, il tema degli UFO e degli alieni.
Sebbene vi avessimo fornito queste notizie, tuttaiva non abbiamo avuto modo di scandagliare molto approfonditamente gli archivi, ma proprio oggi siamo venuti a conoscenza  (tramite il sito internet universo7p.it ) di una serie di documenti non solo interessanti, ma incontrovertibili e alquanto inquietanti.
Nei testi desecretati, infatti, (in particolare nel "MEMORANDUM" di cui trattiamo noi, indirizzato a scienziati che lavorano per il Governo e ad alte autorità militari) l'FBI dichiara di trovarsi in una situazione critica, causa l'incontro con UFO che, nel caso in cui un popolo decidesse di attaccarlo, potrebbe portare a un disastro, e che adesso bisognerebbe comunque parlare apertamente di questi mezzi e delle creature che li guidano.
Sotto questo aspetto, potremmo dire che non c'è niente di speciale rispetto a quanto crediamo e sosteniamo da sempre; cioè che esistano effettivamente gli UFO e che questi potrebbero essere condotti da forme di vita intelligente, che ci visitano ormai da secoli (se non millenni) e che provengono da altri pianeti. La cosa sconvolgente, tuttavia, e che fino adesso era stata solo ipotizzata dagli ufologi e da alcuni ricercatori, è quello che si legge poche righe dopo.
Per la prima volta nella storia recente, secondo il memorandum che vi proponiamo, datato 8 luglio 1947 (stesso anno dell'incidente di Rosswell, in Nuovo Messico), si parla di "visitatori" ("visitors"del tutto simili a noi, ma giganti), e si dice, soprattutto, che questi provengono da una dimensione parallela alla nostra in cui vivono e da cui uscirebbero attraverso "porte temporali" e con "navi circolari".
Non ci dilunghiamo oltre e vi elenchiamo, di seguito, l'indice tradotto e che trovate sul documento in foto, ripreso direttamente dal sito dell'FBI riguardo il memorandum (http://vault.fbi.gov/UFO/UFO%20Part%201%20of%2016/view).

 Pagina 22.

"Potrebbe svilupparsi una situazione molto difficile in ogni momento, per quanto riguarda i dischi volanti. Se uno di questi dovesse essere attaccato, il piano di attacco sarà immediatamente annientato. Nella mente del pubblico questo potrebbe creare panico e sospetto a livello internazionale. I principali dati relativi a queste imbarcazioni sono ora a nostra portata di mano e devono essere rivelati; non importa quanto possano apparire fantastici e incomprensibili alle menti predenentemente non istruite su questo tema.

1 - Parte della navicella avvistata aveva dei passeggeri, mentre l'altra era sotto controllo remoto.
2 - La loro missione è pacifica. I "visitatori" pianificano di rimanere sul nostro pianeta.
3 - I "visitatori" hanno aspetto in tutto e per tutto umano, tranne che nelle dimensioni (maggiori).
4 - Loro NON incarnano i Terrestri, ma vengono da un loro mondo.
5 - Loro NON vengono da "un altro pianeta" come noi crediamo, ma da un "Mondo Etereo" che compenetra il nostro senza che noi lo percepiamo.
6 - I corpi dei "visitatori" e le loro navi si manifestano entrando in vibrazione con la materia densa della Terra.
7 - I dischi volanti hanno raggi di energia radiante con cui possono facilmente distruggere ogni nave e, rientrando nel loro campo, possono  sparire dalla nostra vista senza lasciare alcuna traccia.
8 - La regione da cui provengono NON è il piano astrale corrispondente a Loka o Talas. Gli studenti di esoterismo capiranno questi termini.
9 - I "visitatori" non utilizzano un sistema radio ma, probabilmente, un sistema radar che, forse, gli permette di individuare il luogo di apertura (lo "Stargate").


 Concludiamo il nostro resoconto solo ricordandovi che il romanzo "L'oro di Dante" parla di questo tema in relazione alla Divina Commedia e all'Albero della Vita ebraico, secondo una ricerca condotta dallo stesso gestore di questo blog. A voi il compito di trarre le opportune conclusioni...
Ci sentiamo solo di dire che, se ci "elevassimo" spiritualmente, purificando mente, corpo e spirito, col tempo potremmo entrare in un sufficiente stato di vibrazione da eludere la "matrice" che abbiamo di fronte agli occhi (ricordate il film "Matrix"?) e che non ci permette, come ad altri esseri, di vedere la realtà e di viverla in ogni sua sfaccettatura e pluridimensionalità...


Filippo Martelli



FILIPPO MARTELLI è nato a Fiesole (FI), il 20/4/1988. Fondatore e gestore del blog The Voyager, ha collaborato alla stesura dei testi del documentario "Il divin segreto. Enigmi e verità su Dante Alighieri", 2009, di Michele Rossi, collaboratore del programma di Rai2 Voygaer e, da allora, ha approfondito i propri studi sulla Divina Commedia. Studi che sono confluiti nel suo primo romanzo, dal titolo "L'oro di Dante" (2013). Con la sua ricerca sulla Divina Commedia e sulle opere di Sandro Botticelli, Filippo Martelli si è classificato secondo all'edizione 2013 del Premio Nazionale Ricerca nel Mistero ed ha pubblicato un articolo dal titolo "Il Paradiso ritrovato di Dante" in merito al proprio studio sul numero 68 (giugno 2014) della rivista Fenix di Adriano Forgione, ex collaboratore dei programmi Voyager e Mistero e direttore editoriale della casa editrice Xpublishing.

Share |

Se ti è piaciuto l'articolo, iscriviti al feed per tenerti sempre aggiornato sui nuovi contenuti del blog! Per maggiori informazioni sui feed, clicca qui!

ANIMALI MISTERIOSI. IL DAHU: GENESI, ORIGINE E MITO.




Quando affrontiamo racconti o storie mitiche, spesso capita di incappare in animali, o pseudo tali, dalle caratteristiche fortemente diverse da quelle che noi stessi siamo soliti conoscere. È il caso di geroglifici e sculture antiche in particolare, ed è il caso di specie che vengono scoperte, potremmo dire, quasi “casualmente”, da zoologi o anche da semplici pescatori e cacciatori che si imbattono in prede del tutto inattese. Soprattutto negli ultimi tempi, causa i forti cambiamenti climatici cui è sottoposto il nostro pianeta, via mare o simili, è stato facile trovare pesci e calamari giganti che si credevano pure leggende o estinti da milioni di anni, sul fondo di laghi e corsi d’acqua profondissimi, quasi privi di luce ed abitati da poche, rarissime specie animali. La lista sarebbe lunga, complessa e di difficile approfondimento, ma potremmo comunque annoverare tra gli avvolti da una aura di mistero (in quanto si crede che esistano solo sulla base di avvistamenti e resoconti di testimoni) anche uno che risulta poco noto ai più ma che zoologi e scienziati stanno ricercando da più anni: parliamo del Dahu.
Il Dahu è noto in cripto zoologia (dal greco antico: kryptos= nascosto; zoon= animale e logos= discorso, o studio; cioè: “studio degli animali nascosti”, o “studio degli animali non ancora ufficialmente scoperti e che sono sospesi tra tradizioni, miti, leggende e un pizzico di verità”) col nome scientifico di Dahutusmontanus.
Si tratta di un animale simile a un Cervide, ma di taglia più piccola, rassomigliante nell’ aspetto ad uno stambecco o una capretta dal pelo morbido. Il Dahu ha le zampe asimmetriche, due delle quali sono  più corte delle altre, cui arrivano poco al di sotto. Questo consente loro di potersi muovere con maggior agilità sui ripidi e scoscesi pendii montani, mantenendo le zampe più corte orientate verso la vetta, e le due altre due a valle, così da poter camminare in un solo senso seguendo il profilo della montagna. Questa caratteristica garantisce loro anche di cambiare direzione in maniera più rapida e “pulita” e di avere, altresì, un’ eccezionale stabilità.
Secondo la tradizione si possono distinguere due diversi tipi di Dahu:


- Quelli le cui zampe più corte sono quelle di sinistra sono chiamati Dahulevogiri, e sono costretti a muoversi in senso antiorario.

- E quelli che le cui zampe più corte sono quelle di destra (Dahudestrogiri) e camminano in senso orario.
Ma, secondo altre tradizioni, esisterebbero anche alcuni Dahu le cui  zampe più corte sarebbero quelle anteriori (in questo caso, risulterebbero più facilitati nella salita e che sarebbero chiamati Dahu crescente frontalmente) e altri Dahu, invece,  le cui zampe più corte sarebbero quelle posteriori, e che così risulterebbero più facilitati nella discesa  (Dahu crescente posteriormente). Una quinta probabile variante di Dahu, è invece quella che lo prevedrebbe provvisto di una sola zampa corta (che sia anteriore dx o sx e/o posteriore dx o sx). Il che non comporterebbe un grosso vantaggio per l’individuo e la specie, garantendogli movimenti più liberi e meno limitati dalla disposizione e dalla lunghezza degli arti.

Probabile genetica 

Una piovra gigante spiaggiata.
 A questo punto, però, viene da chiedersi, date le varianti cui siamo di fronte, se abbiamo a che fare con Dahu omozigoti per quel carattere oppure no.  Ogni nostra caratteristica genetica, infatti, come ben sappiamo, è codificata nel nostro patrimonio genetico (il DNA) e, per così dire, “definita” da una coppia di geni che proviene dai nostri stessi genitori. Stessa cosa, d’altro canto, può essere detta per gli animali. Un fenotipo recessivo, ad esempio, è quello degli occhi-azzurri. Se abbiamo anche noi gli occhi azzurri, allora ci troviamo di fronte ad un soggetto omozigote per quel carattere, in cui si sono uniti due soggetti dallo stesso fenotipo; viceversa, nel caso in cui possedessimo un colore diverso (occhi marroni), avremmo a che fare con un soggetto eterozigote per quel carattere, dove solo il carattere dominante dei due emergerebbe (colore marrone), mentre l’altro (quello azzurro, recessivo) rimarrebbe latente.
Viene da chiedersi, allora, se siano possibile o presenti linee genetiche “pure” nel Dahu perché, come capiremo bene, questa rarissima specie animale (al limite tra il mito e la pura leggenda), qualora esistesse potrebbe anche essere il frutto di un incrocio tra specie diverse. Basti ad esempio considerare il caso più che “strano” dell’ornitorinco, che presenta muso e becco d’anatra, zampe palmate, coda simile a quella di un castoro e un corpo che pare quasi assemblato da parti prese da altri animali. Se non ne conoscessimo l’esistenza ma ne sentissimo solo raccontare l’aspetto, chiaramente crederemmo ad uno scherzo o che si tratti di un mito. Tuttavia, avendo in mano un’ampia documentazione su questo curioso essere, e sapendo dove e in che periodo trovarlo, ci sembra chiaro che potremmo e, soprattutto, che dovremmo applicare un ragionamento del tutto analogo al Dahu.
Ma chi sono allora i “genitori” del Dahu?
Non lo sappiamo con certezza, così come non sappiamo ancora accuratamente quale sia la sua origine. Definire il Dahu, eventualmente, un’ aberrazione genetica, tuttavia, sarebbe quantomeno esagerato.


Diffusione

Di indole pacifica, il Dahu è timido, innocuo e curioso, al pari di uno stambecco o di una capra di montagna. In Italia è presente su tutto l’arco alpino, principalmente in Val d’ Aosta, e lontano da tutti i centri abitati. Data la crescente urbanizzazione del territorio degli ultimi anni soprattutto, a causa anche dei forti cambiamenti climatici, il suo habitat si è però molto ridotto. Il Dahu si riprodurrebbe in inverno, ma con alcuni, ovvi problemi che derivano dalle sue caratteristiche fisiche e di movimento. Il maschio e la femmina possono infatti girare in senso opposto senza mai incontrarsi e, se poi ci riuscissero, non sarebbero comunque in grado di accoppiarsi senza che il maschio precipiti lungo il pendio nel tentativo di aggirare la femmina. Se la incontrasse di spalle il problema sarebbe risolto. Sembra che non sia possibile che Dahu destrogiri si possano accoppiare con Dahu levogiri. La femmina del Dahu, inoltre, depone le uova come i Mammiferi Monotremi dell’ Australia (tra cui vi è appunto anche l’ornitorinco).
 
Per quanto riguarda la cattura, secondo alcuni il periodo migliore è l'inverno, periodo in cui l'animale è costretto ad uscire fuori dalla tana (se si riesce a trovarla); altro sistema è quello di portarsi alle sue spalle e cercare di attirare la sua attenzione; qualora si girasse, trovandosi con le zampe più corte rivolte a valle e senza più appoggio, il Dahu perdererebbe l’equilibrio ruzzolando lungo il pendio finendo a valle dove non sarà più in grado di rialzarsi, probabilmente a causa delle ferite. Metodo cruento ed evitabile per ovvie ragioni di tutela e protezione della fauna.
                                                             
Eventuali prove a supporto della sua esistenza


L'ornitorinco.
Tutto ciò che si sa del Dahu proviene dalle tradizioni orali dei luoghi dove esso vive. Non ci sono molte prove, foto, filmati (quelli presentati e che si trovano in Rete sono risultati dei falsi), scheletri o resti, che ne possano attestare la sua esistenza, e nessun Museo di Scienze Naturali ne possiede una qualsivoglia prova a supporto. Nonostante questo, tuttavia, vista la sua massima adattabilità all’ ambiente montano di cui è diventato un simbolo  e per la sua valenza culturale, esso è stato scelto come mascotte per l’Universiade Invernale di Torino del 2007, dove è stato rappresentato con ambedue le zampe anteriori più piccole rispetto a quelle posteriori ed in posizione eretta. Esso è testimonianza, forse, della sua esistenza, ma, certamente, non una prova. Probabilmente, così come è stato con gli esemplari di polipi giganti di cui abbiamo parlato più sopra e di cui vi alleghiamo il video di alcune loro scoperte, anche per il Dahu avverrà lo stesso.
Non resta allora altro da fare che attendere e sperare che, prima o poi, davanti gli occhi e l’obiettivo di qualcuno, questo animale, uno dei molti che sono rimasti ancora avvolti nel mito, si manifesti e riveli che tutte le storie che si sentono narrare sul suo conto siano più che vere.


Giuliana Farinaro




FARINARO GIULIANA è nata a Marcianise(CE), il 29/10/1957, è Laureata in Scienze Naturali all' Università "Federico II" di Napoli con tesi sperimentale in Ecologia animale (studiando l'assetto ecologico di un fiume), tesina sperimentale sulla Chimica delle argille, ed è docente a tempo indeterminato su A060 di Scienze Naturali ,Chimica, Geografia e Microbiologia. Specializzata in Giornalismo e comunicazioni di massa, fa parte della Protezione Civile del suo paese ed ha la passione per la fotografia naturalistica. Il suo rapporto col mistero è di vecchia data e, nonostante una solida base scientifica, a priori non rimegetta alcuna ipotesi, cercando con decisione quale sia la verità attorno a quel fenomeno che, spesso, non ha ancora una giustificazione scientifica universalmente accolta. Giuliana Farinaro è testimone di avvistamenti UFO, ha vissuto un "missing-time" nelle piramidi della valle di Giza ed ha spesso fotografato oggetti che non erano presenti al momento dello scatto.
Giuliana Farinaro scrive anche poesie e piccoli racconti, per cui ha avuto vari riconoscimenti a livello nazionale ed internazionale, ed è fondatrice e gestrice del blog www.ilmondovistodayulia.wordpress.it in cui tratta principalmente della propria passione per la fotografia naturalistica, di cui racconta i suoi viaggi nei luoghi e nei colori che più la affascinano del mondo.

Share |

Se ti è piaciuto l'articolo, iscriviti al feed per tenerti sempre aggiornato sui nuovi contenuti del blog! Per maggiori informazioni sui feed, clicca qui!