Ecco come gli Egizi costruirono le piramidi. L'ultima ipotesi degli studiosi.
Sulle piramidi d'Egitto, opere d'ingegneria antiche di cinquemila anni che ancora lasciano stupefatti e affascinati, si è detto e si continua a dire molto. Moltissimo.
Dalle ipotesi 'aliene' a quelle degli schiavi, passando per l'intuizione del grande studioso Robert Bauval, che ha scoperto, ormai da oltre un ventennio, un legame tra le piramidi della Piana di Giza e la Sfinge con le stelle della Cintura d'Orione. Ma se per quello che concerne la costruzione si è appurato che non erano gli schiavi ad edificarle, mentre si trattava di operai specializzati coadiuvati da lavoratori (quello sì) sottopagati che erano spinti a fare il lavoro di forza, ci si è sempre domandati come abbiano potuto spostare i blocchi pesanti tonnellate e ad incastrarli con una simile perfezione.
Gli studiosi del Fom (Fondazione per la ricerca fondamentale sulla materia) dell'Università di Amsterdam hanno realizzato una ricerca pubblicata in aprile sulla rivista Physical Reviews Letters, con cui hanno ipotizzato che i blocchi di granito, una volta estratti dalla cava e lavorati, siano stati dislocati e condotti nelle apposite ubicazioni riducendo l'attrito sulla sabbia. Cioè il coefficiente di frizione statica.
In che modo? Questo punto è l'interrogativo che attanaglia gli studiosi da sempre. E nel caso di quest'ultima ricerca, la soluzione ipotizzata è allo stesso tempo semplice e anche altamente lineare.
L'acqua.
Spruzzando infatti un po' d'acqua (non troppa) sulla sabbia su cui sarebbe poi trascinato il blocco, questo avrebbe permesso di ridurre di oltre il 50% il coefficiente di attrito del terreno. Inumidita, la superficie di scorrimento sarebbe stata più 'liscia' e avrebbe consentito, soprattutto, di evitare l'accumulo di sabbia di fronte al granito. Questo sarebbe stato l'ostacolo principale durante il trasporto da parte degli operai, appurato che il coefficiente di attrito della sabbia non è elevato. Il rapporto tra sabbia e acqua (capillarità) quindi riduce il coefficiente di frizione statica a favore di un migliore scorrimento. Troppa acqua, d'altro canto, avrebbe aumentato il coefficiente di frizione statica andando ad incidere negativamente sullo scorrimento, che in quel caso sarebbe stato compromesso.
Dalle ipotesi 'aliene' a quelle degli schiavi, passando per l'intuizione del grande studioso Robert Bauval, che ha scoperto, ormai da oltre un ventennio, un legame tra le piramidi della Piana di Giza e la Sfinge con le stelle della Cintura d'Orione. Ma se per quello che concerne la costruzione si è appurato che non erano gli schiavi ad edificarle, mentre si trattava di operai specializzati coadiuvati da lavoratori (quello sì) sottopagati che erano spinti a fare il lavoro di forza, ci si è sempre domandati come abbiano potuto spostare i blocchi pesanti tonnellate e ad incastrarli con una simile perfezione.
Gli studiosi del Fom (Fondazione per la ricerca fondamentale sulla materia) dell'Università di Amsterdam hanno realizzato una ricerca pubblicata in aprile sulla rivista Physical Reviews Letters, con cui hanno ipotizzato che i blocchi di granito, una volta estratti dalla cava e lavorati, siano stati dislocati e condotti nelle apposite ubicazioni riducendo l'attrito sulla sabbia. Cioè il coefficiente di frizione statica.
In che modo? Questo punto è l'interrogativo che attanaglia gli studiosi da sempre. E nel caso di quest'ultima ricerca, la soluzione ipotizzata è allo stesso tempo semplice e anche altamente lineare.
L'acqua.
Spruzzando infatti un po' d'acqua (non troppa) sulla sabbia su cui sarebbe poi trascinato il blocco, questo avrebbe permesso di ridurre di oltre il 50% il coefficiente di attrito del terreno. Inumidita, la superficie di scorrimento sarebbe stata più 'liscia' e avrebbe consentito, soprattutto, di evitare l'accumulo di sabbia di fronte al granito. Questo sarebbe stato l'ostacolo principale durante il trasporto da parte degli operai, appurato che il coefficiente di attrito della sabbia non è elevato. Il rapporto tra sabbia e acqua (capillarità) quindi riduce il coefficiente di frizione statica a favore di un migliore scorrimento. Troppa acqua, d'altro canto, avrebbe aumentato il coefficiente di frizione statica andando ad incidere negativamente sullo scorrimento, che in quel caso sarebbe stato compromesso.
Avete presente quando volete far scorrere un pallone da calcio in un campo su cui piove molto e in cui vi sono molte pozze? La palla scorre molto poco e, anzi, è frenata dall'acqua (o dal fango) che, se è troppa, anziché creare un ponte a livello particellare, forma un ostacolo. Mentre quando il campo è bagnato in maniera opportuna prima della partita, il pallone scorre rasoterra con un'ottima velocità.
Slitta trainata su sabbia. A sinistra asciutta, a destra inumidita. |
Ecco il segreto, allora. Non troppa acqua, né troppo poca.
E come si vede dal geroglifico trova nella tomba di Djehutihotep, vissuto intorno al 1850 a.C., le cose sarebbero state davvero così. Nel geroglifico si notano interi gruppi di operai che trascinando un'enorme statua aiutandosi con le funi, mentre un uomo vicino la statua inumidisce il terreno poco prima che questa vi passi sopra.
Ma la teoria, per quanto interessante, ancora è lontana dall'essere approvata a livello mondiale, data la labile conoscenza che ancora sussiste tra le interazioni dei materiali granulosi come quelli granitici, la sabbia e l'acqua. Si tratta tuttavia di un'idea da non sottovalutare e che potrebbe portare ad una conoscenza molto più evoluta sui materiali, i loro comportamenti e le loro applicazioni.
Geroglifico di Djehutihotep. Si nota un uomo, vicino la statua, che inumidisce la sabbia. |
Tuttavia, per dovere di cronaca e poiché ci piace anche sognare, non disdegnamo altre ipotesi tra cui la, ancora insoluta, scoperta che avrebbe condotto Edward Leedskalnin, grande amico di Nikola Tesla, che costruì da solo, compose e poi scompose e trasferì, senza l'aiuto di nessuno, un intero castello da lui costruito in granito (qui il link dell'articolo sul blog: link )...
E la soluzione al mistero, forse, potrebbe riguardare in parte proprio l'elettromagnetismo e le scoperte (nascoste) di Tesla (articolo sul blog: link ), dato che ogni luogo sulla Terra su cui si trovano le piramidi sono punti particolarmente ricchi di energia elettromagnetica... Ma per il momento ci fermiamo all'acqua e vi lasciamo a questo ottimo ed approfondito studio, sempre in attesa di nuove scoperte e sempre pronti a rimettere tutto in discussione.
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Marte: il pianeta della vita (estinta)?
Marte è il limite.
Il nuovo obiettivo di astronauti, astronomi, astrofisici e scienziati di tutto il mondo è sapere cosa celi il "pianeta rosso". Tanto simile alla Terra, quanto arido e ora inospitale.
Tuttavia il Rover(così si chiama il tipo di robot munito di camera ivi presente, di proprietà della NASA) lanciato ormai quasi dieci anni fa per documentare in linea diretta il pianeta e scoprire se possa sussistere o meno qualche possibilità che la sua superficie abbia ospitato vita, ha fornito dati e immagini che hanno provocato vivi dibattiti.
Certamente, ad ora, appurata l'esistenza di alvei prosciugati e canyon marini visibili già dalle immagini satellitari e telescopiche, si è avuto risposta ad uno degli interrogativi cardine. Su Marte è scorsa acqua e probabilmente vi è brulicata vita.
Su cosa sia successo dopo, poi, è tutta un'altra questione.
Molto probabilmente, la caduta di un asteroide di grandi dimensioni, o un evento insito alla crosta marziana, hanno causato la scomparsa di ogni genere di vita esistente. E, come molti ritengono, l'aspetto più interessante ed affascinante, è l'ipotesi che Marte un tempo abbia ospitato forme di vita intelligenti non dissimili, se non identiche, all'Uomo.
La fotografia inviata dal Rover di quello che appare un uomo cristallizzato, o pietrificato, ha fatto il giro del mondo in brevissimo tempo assieme a quella che sembra una tartaruga, anch'essa in uno stato del tutto simile all'umanoide. E uno scienziato ha avanzato un'ipotesi che ben si ricollegherebbe e alla catastrofe che avrebbe devastato il pianeta e alla possibilità che esso abbia ospitato forme di vita intelligenti.
Similmente a quanto avvenuto a Pompei, dove gli uomini della cittadina alle pendici del Vesuvio furono sommersi dai lapilli e dalla cenere piovuta da una forte eruzione del vulcano, rimanendo letteralmente "pietrificati" nel loro ultimo momento di vita, probabilmente l'uomo fotografato su Marte (c'è chi dice si tratti solo della distorsione dell'ombra di una roccia o qualcosa del genere) potrebbe essere rimasto coinvolto nel disastro che ha cancellato ogni forma di vita sul pianeta, fino ad essere pietrificato sotto una pioggia di fuoco (ecco l'articolo a firma dello studioso che lavora per il Corriere che ha avanzato questa ipotesi suggestiva link). E allo stesso modo la tartaruga.
Ma al di là delle ipotesi, è sempre opportuno fare i calcoli con la realtà. E in questo caso la scienza. Coi dati di fatto e gli elementi che abbiamo effettivamente a disposizione.
Ed è notizia di pochi giorni fa, quella di una nuova istantanea inviata dal Rover in ricognizione datata 23 febbraio 2014. Il robot della NASA ha infatti fotografato quella che sembra essere una roccia di ammonite del tutto simile a quelle terrestri e forse, compatibilmente alla Geologia, con buona probabilità formatasi tra Devoniano e Cretaceo, cioè 400 e 65 milioni di anni fa. Tuttavia, la lunga distanza tra Terra e Marte ed una sola fotografia non sarebbero sufficienti ad ipotizzare una cosa tanto netta. Il punto su cui focalizzarsi è infatti un altro.
Una piccola impronta sulla roccia che, ingrandita, ha rivelato essere l'esoscheletro di un cefalopode. Esseri viventi del tutto simili a molluschi marini i cui fossili appartengono, appunto, ad un periodo compreso tra le due suddette ere geologiche terrestri, e che hanno spinto gli scienziati anche ad ipotizzare che Marte, all'epoca, possedesse mari provvisti di un avanzato ecosistema. I cefalopodi, infatti, assicurano i paleontologi, erano carnivori e pertanto la loro esistenza e sopravvivenza sarebbe stata garantita solo dalla presenza di altri esseri viventi di cui cibarsi. Anche se gli scienziati però ritengono che l'acqua su Marte sia scomparsa milioni ci anni fa, il professor Andreas Johnsonn dell'Università di Goteborg in Svezia sostiene che esistessero fiumi e mari su Marte già 200 mila anni fa. E che quindi non si fossero estinti in ere tanto antiche.
Tornando però sui nostri passi, è presto per dire se si tratti effettivamente o no di un cefalopode l'elemento ritratto in foto, ma a partire dall'uomo "pietrificato", proseguendo con la tartaruga, passando per l'impronta di un grande rettile fino ad arrivare all'ammonite di cui sopra, tutti gli elementi ci spingono a ritenere che, dato il periodo e la contemporanea presenza di altri esseri viventi, che in contemporanea Terra, Marte e altri pianeti del nostro sistema solare sono stati colpiti da qualche evento che su Marte ha causato la scomparsa dell'acqua (ad eccezione dei poli e forse del sottosuolo) e di ogni genere di vita, mentre sulla Terra tutto si è risolto col biblico Diluvio universale.
Le ipotesi di questo studioso, oltre ad aprire a scenari inattesi, affascinano e ci spingono a chiederci una volta di più se non sia tutto da riscrivere. Se la Storia del nostro pianeta e di come si sono sviluppate le sue forme di vita. Si potrebbero allora comprendere molte più cose anche sulle Antiche civiltà (Egizi, Maya ecc..) e capire allora chi fossero gli angeli scesi dal cielo.
Forse una civiltà tecnologicamente evoluta in cerca di salvezza, dopo aver previsto un disastro (una scia di meteoriti, una collisione o altro ancora) che ne avrebbe distrutto il pianeta?
Chissà... Intanto, ci affidiamo ai fatti e alla scienza fiduciosi che, presto o tardi, arriveranno tutte le risposte che cerchiamo.
(Le immagini e le citazioni riportante nell'articolo appartengono ai rispettivi proprietari)
Il nuovo obiettivo di astronauti, astronomi, astrofisici e scienziati di tutto il mondo è sapere cosa celi il "pianeta rosso". Tanto simile alla Terra, quanto arido e ora inospitale.
Tuttavia il Rover(così si chiama il tipo di robot munito di camera ivi presente, di proprietà della NASA) lanciato ormai quasi dieci anni fa per documentare in linea diretta il pianeta e scoprire se possa sussistere o meno qualche possibilità che la sua superficie abbia ospitato vita, ha fornito dati e immagini che hanno provocato vivi dibattiti.
Certamente, ad ora, appurata l'esistenza di alvei prosciugati e canyon marini visibili già dalle immagini satellitari e telescopiche, si è avuto risposta ad uno degli interrogativi cardine. Su Marte è scorsa acqua e probabilmente vi è brulicata vita.
Su cosa sia successo dopo, poi, è tutta un'altra questione.
Molto probabilmente, la caduta di un asteroide di grandi dimensioni, o un evento insito alla crosta marziana, hanno causato la scomparsa di ogni genere di vita esistente. E, come molti ritengono, l'aspetto più interessante ed affascinante, è l'ipotesi che Marte un tempo abbia ospitato forme di vita intelligenti non dissimili, se non identiche, all'Uomo.
La fotografia inviata dal Rover di quello che appare un uomo cristallizzato, o pietrificato, ha fatto il giro del mondo in brevissimo tempo assieme a quella che sembra una tartaruga, anch'essa in uno stato del tutto simile all'umanoide. E uno scienziato ha avanzato un'ipotesi che ben si ricollegherebbe e alla catastrofe che avrebbe devastato il pianeta e alla possibilità che esso abbia ospitato forme di vita intelligenti.
Similmente a quanto avvenuto a Pompei, dove gli uomini della cittadina alle pendici del Vesuvio furono sommersi dai lapilli e dalla cenere piovuta da una forte eruzione del vulcano, rimanendo letteralmente "pietrificati" nel loro ultimo momento di vita, probabilmente l'uomo fotografato su Marte (c'è chi dice si tratti solo della distorsione dell'ombra di una roccia o qualcosa del genere) potrebbe essere rimasto coinvolto nel disastro che ha cancellato ogni forma di vita sul pianeta, fino ad essere pietrificato sotto una pioggia di fuoco (ecco l'articolo a firma dello studioso che lavora per il Corriere che ha avanzato questa ipotesi suggestiva link). E allo stesso modo la tartaruga.
Ma al di là delle ipotesi, è sempre opportuno fare i calcoli con la realtà. E in questo caso la scienza. Coi dati di fatto e gli elementi che abbiamo effettivamente a disposizione.
Ed è notizia di pochi giorni fa, quella di una nuova istantanea inviata dal Rover in ricognizione datata 23 febbraio 2014. Il robot della NASA ha infatti fotografato quella che sembra essere una roccia di ammonite del tutto simile a quelle terrestri e forse, compatibilmente alla Geologia, con buona probabilità formatasi tra Devoniano e Cretaceo, cioè 400 e 65 milioni di anni fa. Tuttavia, la lunga distanza tra Terra e Marte ed una sola fotografia non sarebbero sufficienti ad ipotizzare una cosa tanto netta. Il punto su cui focalizzarsi è infatti un altro.
Una piccola impronta sulla roccia che, ingrandita, ha rivelato essere l'esoscheletro di un cefalopode. Esseri viventi del tutto simili a molluschi marini i cui fossili appartengono, appunto, ad un periodo compreso tra le due suddette ere geologiche terrestri, e che hanno spinto gli scienziati anche ad ipotizzare che Marte, all'epoca, possedesse mari provvisti di un avanzato ecosistema. I cefalopodi, infatti, assicurano i paleontologi, erano carnivori e pertanto la loro esistenza e sopravvivenza sarebbe stata garantita solo dalla presenza di altri esseri viventi di cui cibarsi. Anche se gli scienziati però ritengono che l'acqua su Marte sia scomparsa milioni ci anni fa, il professor Andreas Johnsonn dell'Università di Goteborg in Svezia sostiene che esistessero fiumi e mari su Marte già 200 mila anni fa. E che quindi non si fossero estinti in ere tanto antiche.
Tornando però sui nostri passi, è presto per dire se si tratti effettivamente o no di un cefalopode l'elemento ritratto in foto, ma a partire dall'uomo "pietrificato", proseguendo con la tartaruga, passando per l'impronta di un grande rettile fino ad arrivare all'ammonite di cui sopra, tutti gli elementi ci spingono a ritenere che, dato il periodo e la contemporanea presenza di altri esseri viventi, che in contemporanea Terra, Marte e altri pianeti del nostro sistema solare sono stati colpiti da qualche evento che su Marte ha causato la scomparsa dell'acqua (ad eccezione dei poli e forse del sottosuolo) e di ogni genere di vita, mentre sulla Terra tutto si è risolto col biblico Diluvio universale.
Le ipotesi di questo studioso, oltre ad aprire a scenari inattesi, affascinano e ci spingono a chiederci una volta di più se non sia tutto da riscrivere. Se la Storia del nostro pianeta e di come si sono sviluppate le sue forme di vita. Si potrebbero allora comprendere molte più cose anche sulle Antiche civiltà (Egizi, Maya ecc..) e capire allora chi fossero gli angeli scesi dal cielo.
Forse una civiltà tecnologicamente evoluta in cerca di salvezza, dopo aver previsto un disastro (una scia di meteoriti, una collisione o altro ancora) che ne avrebbe distrutto il pianeta?
Chissà... Intanto, ci affidiamo ai fatti e alla scienza fiduciosi che, presto o tardi, arriveranno tutte le risposte che cerchiamo.
(Le immagini e le citazioni riportante nell'articolo appartengono ai rispettivi proprietari)
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